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21 Maggio 2019
Comunicato Stampa – 8 Raduno Maschere Antropologiche 2019 – “Maschere e Sapori dal mondo”
28 Maggio 2019
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I GRUPPI DELL’OTTAVO RADUNO DELLE MASCHERE ANTROPOLOGICHE

CARNEVALE DI CASTIGLION FIBOCCHI- CASTIGLION FIBOCCHI (TOSCANA)

“I Figli di Re Bocco”, Carnevale di Castiglion Fibocchi dallo stile unico nella Provincia di Arezzo. Duecento maschere, con costumi dei più vari, fantasiosi e variopinti, s’incastonano come tante pietre preziose dai molteplici colori nelle stradine, vicoli e piazzette dell’antico borgo di Castiglion Fibocchi, in un Valdarno ancora alle porte di Arezzo, lungo la Via Setteponti, la strada che ricalca l’importante e antica direttrice romana Cassia Vetus.

BELLI E BRUTTI- SUVERO (LIGURIA)

Le maschere tradizionali sono due: i “belli” e i “brutti” del Carnevale di Suvero. I primi indossano abiti dai colori vivaci in fantasia floreale, adornati di trine, fiocchi e campanelli e calzano cappelli rivestiti con la stessa stoffa del vestito, ornati da lunghi nastri variopinti, pizzi, perline e campanellini. I secondi sono vestiti con velli di capra o pecora e sulla testa indossano lunghe e grosse corna, mentre il viso è tinto di nero o ricoperto da maschere o bautte dai tratti cupi ed arcigni e portano legati in vita dei campanacci da mucca, che scuotono mentre camminano. Così abbigliati i mascheri dei Belli e Brutti visitano fin dal primo mattino i casali del territorio e  di altre frazioni dell’Alta Val di Vara su camion e trattori ottenendo in cambio cibo in quantità e generosi bicchieri di vino e grappa; successivamente, nel pomeriggio, sfilano per le strade del paese, fermandosi ad ogni casa: qui, mentre il padrone prepara un veloce rinfresco, i belli fanno ballare le donne della famiglia, mentre i brutti non risparmiano scherzi e burle a nessuno. Al calare della sera ci si riunisce tutti per cenare in compagnia. Singoli elementi possono essere così interpretati: il fracasso delle campane e la mostruosità delle maschere hanno la funzione di scacciare le forze maligne dalle case in vista dell’imminente primavera che crescerà i raccolti. In segno di gratitudine, sono donati alle maschere uova, dolci e vino. Molto di questo carnevale sfugge comunque ancora allo studio etnografico, ad esempio non è semplice comprendere perché sopravviva soltanto in un territorio così ristretto. Qualunque sia comunque il segreto significato di questa antica liturgia, intatto e genuino ne resta il fascino e la fragile magia. L’origine di tali maschere ormai si è perso nella notte dei tempi, ma sia che simboleggiassero il contrasto tra il bene e il male, sia tra i rigori dell’inverno ormai agli sgoccioli e le dolci promesse della primavera alle porte, resta il fatto che da secoli a Suvero il Carnevale segue rituali ben precisi ed immutati.

SOS TUMBARINOS-GAVOI (SARDEGNA)

Sos tumbarinos sono i tamburini che nei giorni del Carnevale animano le strade di Gavoi, paese nel cuore della Barbagia, suonando all’impazzata sui tamburi costruiti a mano con pelli di pecora e capra. Il vero protagonista di questo carnevale infatti è proprio il suono, “su Sonu”. I tamburi di Sos tumbarinos sono accompagnati da “su pipiolu” (il piffero), “su triangulu” (il triangolo)” e “su tumborro”, una serraggia, strumento a corda realizzata con una vescica di animale. Il carnevale di Gavoi, che ha probabilmente origine dagli antichi riti dionisiaci, inizia dal giovedì grasso fino all’alba del mercoledì successivo. La notte del martedì grasso si dà addio alla festa bruciando su un rogo Zizzarone, il fantoccio del re del carnevale.

L’URS DI TEANA- TEANA (BASILICATA)

Il Carnevale Teanese è la rappresentazione, in chiave ironica, della vita del paese e dei suoi abitanti ed è al tempo stesso l’uomo che nasce dalla natura ed a essa ritorna. In questa sarcastica ed sfilata vengono rappresentate e allo stesso tempo derise le varie forme di potere: la Chiesa (con il prete e i sacrestani), la Legge (con il giudice e gli avvocati), per passare all’Ordine Pubblico, attraverso le guardie che non riescono a trattenere le figure simbolo del carnevale teanese: L’Urs e Carnuluvar. I vari personaggi sono intrisi di significato allegorico e metaforico: il Pezzente, rappresenta la povertà e l’umiltà; il Portafortuna, scherzosamente, legge il destino dei passanti tramite dei proverbi locali; L’Urs è una figura demoniaca, agitata e sfuggente; rappresenta l’anello di congiunzione fra l’uomo e la natura. Questo viene messo in evidenza dal fatto che spesso viaggia a braccetto con Carnuluvar, che rappresenta tutti i vizi dell’uomo, ingordo, ubriacone e indebitato. È l’uomo per il quale si organizza lo spettacolo, colui al quale bisogna fare la festa. La manifestazione si conclude con una vera e propria rappresentazione sarcastico-teatrale, il Processo, al termine del quale Carnuluvar viene condannato a morte. La forte passione che lega la comunità teanese a questo evento ha fatto sì che negli anni la manifestazione ha acquisito una rilevanza regionale fino a diventare membro importante della “Rete dei Carnevali Lucani a valenza antropologica e culturale”.

L’URS E LU RUMIT- SATRIANO (BASILICATA)

Il Carnevale di Satriano è un’antica festa popolare che si svolge il sabato e la domenica prima del martedì grasso, ritenuto il più caratteristico, suggestivo e misterioso della Basilicata. L’unicità di questo rito carnevalesco è data dalla presenza di tre maschere tipiche che sfilano per le vie del paese: Rumita, Urs e Quaresima. (L’urs) Uomo animale, vestito di pelli di pecora o di capra rappresenta una maschera di prosperità, buona sorte e successo. È quel cittadino presto emigrato verso terre lontane dove ha fatto fortuna e per questo ritornato con pelli pregiate e altre notevoli ricchezze. Va saltellando di qua e di là per il paese, con il proprio pastore che è vestito con i tradizionali abiti delle campagne circostanti e il cui compito è quello di trattenere l’impeto selvaggio del proprio animale, e assicurarsi quindi, che non dia “troppi problemi” alla gente. A causa della lunga lontananza dalla sua terra natia è praticamente muto. Sulla sua testa indossa un sacchetto che copre la vera identità della persona, sono presenti due soli buchi per gli occhi e uno per la bocca. Attorno al corpo ciondolano campanelli e campanacci che provocano rumore al suo muoversi e continuo saltellare, sia per incutere timore sia per dimostrare il fervore proprio della maschera. (U’rumit) Uomo vegetale, albero vagante, maschera silente avvolta e cosparso di foglie, rampicanti e tralci d’edera. È un’altra maschera molto importante e rappresentativa, simbolo di povertà e penuria. Raffigura quel satrianese che, nonostante non sia in ottime condizioni economiche e per questo indigente, è rimasto fedele alla sua terra natia e ha provveduto autonomamente a costruirsi un rifugio al di fuori del centro abitato, nel bosco. L’ultima domenica prima del martedì grasso gira tra le strade del paese strusciando il “fruscio” (un bastone con all’apice un ramo di pungitopo o di ginestra) sulle porte delle case. È il suo modo di bussare. Chi riceve la visita del Rumit rispetta il suo silenzio e in cambio di un buon auspicio dona qualcosa (fino a qualche anno fa generi alimentari, ora pochi spicci).

CARNEVALONE- MONTESCAGLIOSO (BASILICATA)

Il Carnevalone di Montescaglioso nasce soprattutto dalla cultura dei massari e dei braccianti. Anticamente i costumi erano realizzati con pelli di animali, ma la festa Si è evoluta insieme al mondo contadino. Si è utilizzata la tela di canapa, di juta e poi anche la plastica dei sacchi per le sementi del grano, ora, invece, carta, cartoni, stoffe di vestiti in disuso. Il Carnevalone come la natura ricicla quasi tutto. All’alba del martedi grasso, ha inizio il lungo rito della vestizione. Il gruppo ha precise figure e gerarchie. Apre la parca che rotea il lungo fuso tra le gambe della gente: simbolo della ruota del tempo che gira e della morte che prima o poi arriva. Guai a farsi colpire. Seguono i portatori dei campanacci più grossi, sbattuti con l’ausilio del ginocchio. La tetra figura della “Quaremma”, vestita di nero e con in braccio un neonato. La carriola con il Carnevalicchio in fasce, ove depositare le offerte in natura. La sposa di Carnevalone, più o meno sguaiata, ferma tutti e chiede offerte in natura e danaro: serviranno a fare crescere il Carnevalicchio ma in realtà a fornire materia prima per la cena e l’Ubriacatura notturna. A ruota libera e con i campanacci più piccoli, tante figure sempre suggestive in costumi ogni anno diversi. Si accetta ogni offerta: pane, finocchi, pasta, dolci, frutta, vino e salsiccia. Chiude il corteo il vecchio e massiccio Carnevalone. Intabarrato in un mantello nero, in testa un cappellaccio, cavalca un povero asino. è conscio che nella notte schoccherà la sua ultima ora. Non parla ma accetta tutte le offerte. Sulle spalle di Carnevalone, sui fianchi o sulle chiappe dell’asino, qualche cartello con gocce di saggezza contadina condite da aspre critiche, sempre sgrammaticate (Carnevalone non ha avuto tempo per studiare), rivolte per lo più a politici e pubblici amministratori.

S’AINU ORRIADORE- SCANO DI MONTIFERRO (SARDEGNA)

Rappresenta un’antica credenza popolare caduta nel dimenticatoio sociale per molto tempo, la quale è stata riportata alla luce negli anni novanta dal fondatore della associazione stessa che, insieme ad altri cultori delle tradizioni popolari locali, ha costituito un’associazione culturale omonima. Tale maschera è costituita dall’osso del bacino di un bovino o di un asino ed indossa la zimarra, anche detta mastrucca presente in quasi tutte le maschere sarde e caratterizzata da una giacca lunga senza maniche fatta di pelle di ariete. S’ainu trascina con sé delle catene e muovendosi in gruppo a passo d’uomo girovagano per il paese muniti di bastone (o mazzuccu in sardo) in cerca di un’anima da poter rubare e potersene così impossessare. Nel loro tragitto emettono ragli misti a lamenti e pianti che rappresentano il preludio alla morte di qualcuno. Secondo la credenza popolare la maschera rappresentava il diavolo che veniva sulla terra per annunciare la morte di qualcuno. Esso si presentava in diverse forme e sotto diversi aspetti non definibili. In alcune occasioni, non precisate e sempre secondo la leggenda, assumeva le sembianze di un asino o di un cane bianco (con le zampe d’asino se era cane e di gallo se asino), alcuni dicono che si presentasse anche sotto forma di vitello nero con i cuccioli vicini, ed infine anche sotto forma di asino.

PULCINELLA- CASTIGLIONE MESSER MARINO (ABRUZZO)

La maschera tradizionale di Castiglione Messer Marino è Pulgenella, che con la sua veste bianca, stivali neri, cappello a cono, sonagli dappertutto e frusta in mano, impazza nel corteo. Il paese di montagna, dalle nobili origini medievali, risuona dei rumori allegri del Carnevale e si tinge dei colori della festa più allegra dell’anno.

MAMUTZONES- SAMUGHEO (SARDEGNA)

Le maschere tipiche di Samugheo sono i Mamutzones. Il personaggio dominante del carnevale di Samugheo infatti è senza dubbio su Mamutzone, che annuncia il suo arrivo a tarda sera, col rumore inquietante dei campanacci che suonano al ritmo della sua danza.  Con il volto nascosto dal sughero annerito e grossa corna caprine sul capo, su mamutzone danza minaccioso intorno alla maschera zoomorfa de “s’Urzu”, la sua vittima. S’ Urzu indossa un completo di pelle di caprone nero con un campanaccio appeso al collo, ed è tenuto per la corda da s’omadore, il pastore, vestito con un manto nero e il volto annerito di fumo, che lo pungola e tormenta di continuo. Le maschere di Samugheo mettono in scena rituali il cui significato più arcaico si è ormai perduto ma che rimandano quasi certamente agli antichi culti del dio Dioniso.

LA IACHERA- ROCCA GRIMALDA (PIEMONTE)

L’origine di questa antica tradizione, insieme di danza, rito e rappresentazione teatrale, si fa risalire alla rivolta del popolo di Rocca Grimalda contro il Signore del paese che pretendeva di esercitare lo Jus Primae Noctis sulle spose del feudo. In realtà, pur non escludendo coinvolgimenti e contaminazioni da fatti storici realmente accaduti la Lachera trae origine dagli antichi riti propiziatori primaverili: feste calendariali di popolo arricchitesi nel corso dei secoli di contenuti epici e sociali. La rappresentazione, effettuata nel periodo carnevalesco, è un movimentato e colorato corteo nuziale caratterizzato da un crescendo di suoni, schiocchi, tintinnare di sonagliere, vorticare di fiori e nastri colorati: i personaggi, alcuni armati di spade, altri con fruste e sonagliere, altri ancora con lunghi cappelli infiorati, danzano intorno ad una coppia di sposi, mentre intorno una figura vestita di rosso salta tra la gente scherzando e ridendo.

DUCATO DI PIAZZA PONTIDA- BERGAMO (LOMBARDIA)

Il Ducato di Piazza Pontida, sodalizio di tradizioni, cultura, arte e folclore, è nato grazie all’estrosa fantasia di un personaggio molto noto in città  nei primi decenni del nostro secolo: Rodolfo Paris amante della musica, pianista, poeta e compositore di versi in bergamasco.
La mezzanotte del 31 dicembre 1923 per prendersi gioco delle autorità  del governo che non si decidevano ad inaugurare la Torre dei Caduti da tempo ultimata, organizza un corteo con al seguito la redazione del Giopì. Giunti sul sentierone, al rintocco della mezzanotte fra spari e luci, con semplici parole inaugura la Torre e tra la folla qualcuno grida VIVA IL DUCA DI PIAZZA PONTIDA (la Torre fu inaugurata ufficialmente nell’ottobre del 1924).

CARNEVALE DI DOSSENA- DOSSENA (LOMBARDIA)

La Mascherata di Dossena conserva la festosita’ dell’antico carnevale contadino che solennizzava la fine di un ciclo stagionale sfavorevole e propiziava magicamente l’arrivo della Primavera, ma nel contempo diventa un monumento di socializzazione e di divertimento, di rilettura del presente in continuita’ col passato e di recupero di una identita’ culturale che rimargini le lacerazioni subite dalla Comunità di Dossena (guerre, emigrazione..) dell’ultimo secolo. Dopo la seconda guerra mondiale si riprese a Dossena la tradizione di fare le Maschere nelle contrade del paese durante il carnevale. Per quanto siano lontani quei tempi, ricordiamo in modo nitido due cose contrastanti tra loro: il racconto delle storie che avveniva nelle case o nelle stalle e le maschere che venivano presentate sulle aie delle contrade. 

ZOMBA CARDILLO- MONTEMARANO (CAMPANIA)

Il Carnevale di Montemarano, cittadina in provincia di Avellino, rappresenta, senza ombra di dubbio, uno dei più entusiasmanti e coinvolgenti appuntamenti in grado di catalizzare intorno a se un’intera comunità. Il borgo irpino, infatti, sarà la location di un singolare corteo di maschere con in testa il “Caporabballo” che le guida, insieme ai suonatori, attraverso uno dei pochi esempi di ballo processionale sopravvissuto all’evolversi dei tempi. I passi della tarantella sono legati al procedere caratteristico dei gallinacei ritenuti anticamente uno scudo per tutti i mali della comunità.

GL’ CIERV- CASTELNUOVO AL VOLTURNO (MOLISE)

Il rito dell’Uomo Cervo, o meglio de “Gl’Cierv”, si ripete l’ultima domenica di carnevale, da un tempo immemorabile, a Castelnuovo al Volturno. Dopo il tramonto, l’unica piazza del paese che ha come cornice i monti Marrone e Castelnuovo, appartenenti alla catena delle Mainarde, diventa il pittoresco palcoscenico di una pantomima che coinvolge molti abitanti, sia come protagonisti sia come figuranti. Il rito de “Gl’Cierv” ha sicuramente due significati reconditi:
La prima parafrasi del significato primordiale del carnevale, l’antichissimo mito dionisiaco, nel quale il passaggio delle stagioni viene simboleggiato in maniera cruenta, dove, per la rinascita della natura, risulta indispensabile una morte sacrificale. La seconda la figurazione di tutto quello che da sempre sconvolge l’animo umano: le radicate paure per l’irragionevole, l’incomprensibile, la violenza selvaggia della natura che sovrasta e, a volte, travolge. L’origine di questo carnevale, nonostante ogni possibile supposizione, resta oscura. Solo sulla genesi dei personaggi si avanza una qualche ipotesi, Tra essi, sono senz’altro il Cervo, il Martino e il Cacciatore i protagonisti del rito, nonostante la presenza della Cerva, evidentemente assimilabile al suo alter ego maschio, e delle comparse che completano la schiera degli interpreti della pantomima.

IL DIAVOLO- TUFARA (MOLISE)

Nato in tempi remoti, in un mondo arcaico, in armonia con la natura, espressione di riti ancestrali rudi, misteriosi e magici “il Diavolo” antica maschera carnevalesca, si rivela, l’ultimo giorno di Carnevale a Tufara, tra folli corse e acrobazie temerarie. Tramandato nei secoli, espressione tipica della comunità, richiama cultori da tutto il mondo. La figura caprina, il tridente fra le mani, i movimenti accattivanti, suscitano timore e superstizione. Tutti vorrebbero evitarlo, ma ognuno in fondo al cuore spera di essere circondato dal suo seguito urlante. Da dove sbuca quest’essere insolito, misterioso? Dagli inferi, da un’antica casa abbandonata dove occulti riti lo riportano in vita per correre tra le vie del paese? Chi è? Quale mistero cela dietro la nera maschera? È forse figlio della dimenticata primavera, quando a gemma germoglio e fiore si tributava sangue perché crescessero più forti e abbandonati, o quando l’uomo per scrollarsi di dosso l’agghiaccio invernale, danzava e intuiva la natura al risveglio? O forse è l’inquisitore, l’ammonitore delle coscienze ribelli, dove il giogo è pesante e la libertà impellente? “Il Diavolo” forse è tutto questo o forse tutt’altro, ma a Tufara, lo si attende con ansia, per liberarsi con lui di un folleggiare breve e cruento, per dimenticare in un giorno quanto dura è la fatica di vivere. La maschera, è tra quelle che conservano le antiche caratteristiche da cui traggono origine, anche se il suo significato primitivo si è in parte perduto, essa rappresentava, un tempo, la passione e la morte di Dioniso, dio della vegetazione, le cui feste venivano celebrate in quasi tutte le realtà agresti. Infatti Dioniso, cosi come la vegetazione di cui era dio, moriva e si rinnovava perpetuamente.


Le Maschere dei KUKERI del Chitalishte[1] “Vasil Levski” di Sushitsa, Karlovo

I Kukeri di Sushitsa, chiamati anche “vecchi”, esistono da tempo immemorabile. Le maschere dei “vecchi” rappresentano le avvisaglie della primavera, un segno di preparazione per lavori agricoli intensivi.

“Anziani – drun (suono di campanello), zappa – fuori”

dice il proverbio su questa antica usanza.

Ci sono due gruppi di kukeri chiamati: belogashti e bagiazi. I bagiazi sono vestiti di sukman nero e pantaloni di pelliccia di capra. Su vita cingono una cintura con cinque grandi campane di rame attaccate ad essa. Loro sono l’incarnazione delle forze del male in natura. I belogashti sono vestiti interamente in vesti bianche, hanno una cintura con un braccialetto attaccato, con campane di bronzo sospese tra loro, con una fionda multicolore, che termina con le nappe. I colori dominanti delle nappe sono: bianco, giallo, rosso, blu e verde. Il colore rosso è un simbolo di fertilità in natura, il simbolo giallo di grano, il blu simboleggia la tranquillità, il verde è un simbolo della foresta e del campo, il simbolo bianco di innocenza e purezza. I belogashti sono un simbolo di bontà e gioia. I kukeri sfilano in due file con un passo costante e formano figure danzanti sempre diverse. La maschera è stata riconosciuta con vari premi: quattro medaglie d’oro, due medaglie d’argento e molti altri premi nelle feste nazionali in maschera. Sono risultati vincitori del più grande premio “GOLDEN MASK” di “Surva 2018” – Pernik. Il gruppo ha partecipato a numerosi festival internazionali in maschera – Turchia, Serbia, Francia, Ungheria e Montenegro, Slovenia, Polonia, dove ha rappresentato la Bulgaria e il Comune di Karlovo.



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